Stiamo tutte vedendo “Tutto chiede salvezza”, la nuova serie di Netflix su un ragazzo che subisce un TSO. FInora la serie ci sembra ben fatta e interessante. Ci fa riflettere sulla presa in carico dei pazienti psichiatrici. La difficoltà di riconoscere il disagio in sé stessi e nei propri familiari, la vergogna che il disagio mentale rappresenta, a differenza di quasi tutte le altre malattie. La fatica di chiedere ma anche di accettare aiuto, la difficoltà ad esprimersi, il senso di colpa negli “intervalla insaniae”. La necessità di superare lo stigma, anche da parte dei professionisti. In questa serie è molto interessante il diverso approccio dei due psichiatri, che almeno nella prima parte si differenziano per la modalità di accoglienza e per la diversità nel trattare le comorbilità (uso di sostanze da parte del protagonista).
Ma che cos’è è un TSO? E’ un trattamento sanitario obbligatorio, uno dei pochissimi interventi sanitari che si possono applicare in modo coatto nei confronti di persone che risultano pericolose per sé o per gli altri, viene disposto dal Sindaco dietro proposta motivata di due medici.
Eppure nel Servizio Psichatrico di DIagnosi e cura in cui Daniele, il protagonista, è ricoverato, sono solo 2 i pazienti sottoposti a TSO. Gli altri sono ricoveri ordinari, volontari o programmati. Mai, secondo la legge, il ricovero sostituisce la presa in carico del Centro di Salute Mentale territoriale, tanto che, anche se non tutti lo sanno, il TSO può non avvenire in SPDC ma a domicilio, laddove ve ne siano i presupposti.
Resta la grande difficoltà della presa in carico dell’adulto capace di intendere e volere che soffra di disagio psichico, e ancora di più resta la difficoltà, soprattutto delle famiglie, di riconoscere i segnali del disagio mentale e di trovare qualcuno a cui raccontarli.
Ci piacerebbe conoscere le vostre esperienze, quelle andate male ma soprattutto quelle, e sono molte, che si sono concluse bene.