Avete mai sentito parlare del lavoro sociale anti-oppressivo? All’estero probabilmente si, e anche spessa. In Italia forse di rado. Purtroppo nell”agenda’ del servizio sociale italiano non si tratta nè il tema dell’oppressività delle istituzioni nè quello della gestione del potere. A me questi due temi stanno molto a cuore perchè credo ci riportino al cuore dello scopo delle professioni di aiuto: la giustizia sociale, l’equità!
Partiamo dalla definizione internazionale di social work approvata nel IFSW General Meeting e nella IASSW General Assembly nel luglio 2014:
“Social work is a practice-based profession and an academic discipline that promotes social change and development, social cohesion, and the empowerment and liberation of people. Principles of social justice, human rights, collective responsibility and respect for diversities are central to social work. Underpinned by theories of social work, social sciences, humanities and indigenous knowledge, social work engages people and structures to address life challenges and enhance wellbeing.
Parlare di ‘liberazione delle persone’ mi sembra proprio che richiami all’anti-oppressività- È più dell’autoefficacia che richiama allo sviluppo delle capacità personali di agire sulla propria vita. Il principio contenuto nella definizione internazionale ci richiama alla definizione di lavoro sociale anti-oppressivo:
‘It requires the practitioner to critically examine the power imbalance inherent in an organizational structure with regards to the larger sociocultural context in order to develop strategies for creating an egalitarian environment free from oppression, racism, and other forms of discrimination in the larger society by engaging at the legal and political level. In social services it regulates ANY POSSIBLE oppressive practices and helps in delivering welfare services in an inclusive manner.’
[L’approccio anti-oppressivo richiede al professionista di esaminare criticamente gli squilibri di potere inerenti le strutture organizzative con attenzione al contesto socio-culturale al fine di sviluppare strategie adeguate al fine di creare un ambiente equo libero da oppressione, razzismo, e altre forme di discriminazione sociali intervenendo sul livello legale e politico. Nel servizio sociale esso regola ogni possibile pratica oppressiva e supporta nell’offrire servizi in maniera inclusiva]
Il centro è quindi la consapevolezza delle iniquità istituzionali e strutturali e l’attivazione di pratiche che limitino tali discriminazioni e squilibri di potere. Non pensiamo solo alle iniquità più visibili. L’oppressività può manifestarsi nella società in forme differenti dal ‘macro’ al ‘micro’.
A me in questo momento specifico interessa prevalentemente il livello ‘micro’ perchè mi sembra quello in cui ognuno di noi ogni giorno può davvero cambiare le cose! Ogni volta che ci attiviamo professionalmente dovremmo chiederci: sto rispettando i diritti dell’altro? Quali di questi diritti sto rispettando?
Vi propongo un esercizio. Da oggi ogni giorno fatevi questa domanda:
Cosa posso fare oggi per agire sul sistema in modo da renderlo meno oppressivo?
Ricordiamoci che ognuno di noi è utente di qualche istituzione. Limitare l’oppressività nelle istituzioni nelle quali lavoriamo potrebbe contribuire a creare una cultura più attenta ai diritti di tutti. FACCIAMO QUALCOSA CHE CAMBI IL MONDO!